Antologia della critica
[…] La seconda ambivalenza su cui vorrei soffermarmi riguarda un particolare e ricorrente tratto tipologico dei volti delle figure, in cui si fissa la duplice provenienza e destinazione dello sguardo. Consiste, siffatta specificità, nella disposizione e nell’orientamento degli occhi, qui propriamente specchi dell’animo nel senso che svelano intenzioni psicologiche e implicazioni mentali con la loro differenziata funzionalità visiva […].
di Nicola Micieli
da “Ospiti del nessun luogo”
[…] Il lavoro di Carlo Ravaioli appare a chi gli si accosti originale e sorprendente, prima di tutto perché costituisce un’inedita sintesi tra due universi opposti, quasi mai conciliabili: quello delle tecnologie d’avanguardia, della computer grafica, dell’immagine elettronica, e quello dei più antichi valori materici, coloristici, disegnativi della pittura. Come un moderno alchimista, Ravaioli riesce a strutturare il suo mondo espressivo secondo questa straordinaria coincidentia oppositorum, in cui l’altissima definizione dell’immagine “immateriale” elaborata dal software sfocia nella forte presa sensuale, nella ricchezza ambigua e inquietante dei suoi dipinti […].
Silvia Pegoraro
“Luoghi simultanei”, Roma
[…].Bisogna andare molto indietro nel tempo per intravedere quando, per la prima volta, si manifestarono le prime crepe nell’interno del concetto di identità, occorre risalire alle origini del Mito, quando le cose cominciarono a formarsi e non sapevano ancora quello che sarebbero diventate, quando Identità e Dissimiglianza cominciarono a contrapporsi tra di loro. In principio tutto accadde per colpa di quello scervellato di Prometeo che ebbe l’idea di donare il fuoco agli uomini, lo fece per il loro bene, si dice, ma, forse, nella speranza che gli uomini si bruciassero tutti […].
di Janus
“identikit”, Musei San Domenico, Forlì
[…] Carlo Ravaioli restituisce alla Pittura il territorio che le è proprio e che per tanti anni è stato sottratto ad essa a favore di pratiche a volte, diciamolo, anche abusive. In questi “Luoghi apparenti”, in queste città miniaturizzate prende rinnovato vigore l’Idea del fare pittura avendo come modello non un canone artistico che assegna tutto lo spazio possibile alla valutazione dell’ambiente […]
di Paolo Maria Rocco
“Nel pensiero dei luoghi-Visioni di Città”
[…] Non sono neanche paesaggi, a dire il vero, ma ritratti di case. Ravaioli li intitola acutamente ‘le case dei non vedenti’. Però i loro abitanti non sono ciechi. Hanno scelto di rinunciare a vedere, come altri in altri quadri hanno scelto la solitudine, senza subirla.
Racchiudono come un guscio l’inquilino ritrovato, e ci parlano di lui più che di loro stesse. Non hanno finestre, perché l’abitante ha ormai rinunciato allo sguardo, e solo una piccolissima porta, perché l’occupante non è mai partito del tutto, o più probabilmente vi ha fatto ritorno per quello stesso minuscolo accesso da cui era partito per la ricerca della soluzione.
Vi ha fatto ritorno, certo, perché è in questa casa che aveva lasciato il nocciolo duro di sé.
Stremato dai suoi tentativi falliti di decifrare la vita, al termine di quell’escursione che è tutta l’opera di Ravaioli, l’uomo ritorna all’origine, alla sua prima conchiglia, cieca e muta, memoria. Sconfitto? Chissà. L’identità non è comunque un traguardo da poco.
E in fondo il viaggio non è mai finito. L’ultima casa ritratta pare proprio una nave tra le nebbie delle banchine di un porto. Un’arca per sé soltanto, nell’assurdo diluvio del mondo
Piero Rinaldi