i cortili di melisso 27 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: I cortili di Melisso

L’eternità dell’essere nella città dei filosofi

Scesi da quello che qualcuno chiama Edificio Massimo seguiamo le indicazioni per uscire direttamente in una serie sequenziale di piccole piazzole intitolate “I cortili di Melisso”.

Melisso (che visse dopo la metà del V secolo a.C.) viene generalmente anch’esso collocato nell’ambito dei filosofi eleatici (insieme a Parmenide e a Zenone), sebbene fosse originario non già di Elea, bensì di Samo, nella Ionia minore. Nonostante i giudizi poco lusinghieri di Aristotele, Melisso risulta essere molto importante per la storia della filosofia, in particolare per il suo tentativo di coniugare l’eleatismo con la filosofia della natura.

L’assonanza del nome di una pianta dalle proprietà officinali ha fatto si che tutto in tutto il perimetro dei cortili venga coltivata proprio la Melissa (in greco antico significa ape). L’apparente banalità di accostare la figura di un filosofo  con una pianta che ha lo stesso nome,  sottolinea che la scelta dei riferimenti storici non è stata solo per i contenuti filosofici ma anche per effetti puramente estetici. Il visitatore della città dei filosofi ha due opportunità: osservare l’architettura urbana ignorando completamente la filosofia e cogliere semplicemente la bellezza degli scorci, oppure lasciarsi andare in un viaggio introspettivo ripescando le antiche domande irrisolte che i pensatori hanno da sempre posto.

Il pensiero di Melisso si colloca per molti tra coloro che affrontando la ricerca della verità senza metodo, tornano carichi di errori più di prima che iniziassero il viaggio. Questo anche perchè, a quei tempi, si cercava di spiegare ad esempio  l’eternità, che è una idea astratta, con interpretazioni prettamente fisiche e grandi assurdità di risultato. 

Seduti su una delle panche collocate ai bordi dei cortili apprezziamo come prima cosa il colore verde delle foglie di melissa e il profumo dei piccoli fiori bianchi. Poco importa sapere come mai, in questa ricostruzione molto reinterpretata di villaggio mediterraneo in questa sperduta parte dell’antica Italia , qualcuno sia riuscito a coltivare piante contenenti clorofilla.

L’atmosfera del luogo ha la capacità di catturare l’attenzione e rimandarla, come uno specchio, al punto di origine. Gli occhi, più degli altri sensi, concorrono a portare l’attenzione verso l’esterno e la coscienza spesso si perde in uno stato contemplativo del  “di fuori“. Poi stranamente, come per magia, tutti i componenti della comitiva si trovano a ragionare quindi ad essere attratti dallo stesso pensiero: l’eternità dell’essere.

Uno di fianco all’altro, immobili, con lo sguardo perso oltre le pareti che circondano i cortili, quasi imprigionati in una sorta di recinto ci perdiamo ancora una volta dietro all’idea di eternità. Qualcuno crede di intuire, qualcun’altro si ferma alla prima risposta, c’è chi si perde durante il viaggio, chi è sicuro di avere capito. Io invece per lo sgomento e il terrore che improvvisamente mi assalgono, tale da pensare a una crisi di panico, mi sento costretto ad alzarmi di scatto e volgere l’attenzione altrove. Capisco in un istante che i messaggi rassicuranti che arrivano continuamente, a volte inconsapevolmente, ai nostri sensi sono il vero grande prodotto della storia dell’umanità per tenerci lontano e al sicuro dalla terrificante consapevolezza che ci possa essere una eternità dell’esistenza. Poi ingenuamente mi chiedo fin dove riuscirebbe ad arrivare la memoria se vivessimo in eterno, già che ci siamo scordati quando siamo nati. Ci riprendiamo dalla pausa escatologica e continuiamo il nostro percorso consapevoli di dover il più possibile nutrire il nostro cervello con piacevoli stati contemplativi, lasciando ai filosofi il difficile compito di domare l’animale selvaggio che muove certi aspetti della ragione.