La casa di parmenide 31 Mar

LA CASA DI PARMENIDE Il fondatore della scuola eleatica

In fondo al passaggio di Porta Rosa percorriamo il fianco della gola e subito dopo il primo caseggiato ci troviamo nella penisoletta su cui è costruita quella che poteva essere la casa di Parmenide durante i suoi soggiorni.

Il complesso è costituito di due ampie costruzioni e di alcuni piccolissimi monolocali che si affacciano sull’acqua. La prima grande e piacevole sorpresa è la presenza di due alberi che fanno da corredo a una deliziosa scena di architettura urbana che ricorda i cortili del XXIII secolo. In quegli anni  le foglie erano ancora verdi, oggi la clorofilla, mutata geneticamente, riflette quasi tutte le frequenze della luce dando alle piante un aspetto ovattato e luminoso e una colorazione biancastra spesso con dominanti gialle o arancio. Il luogo è assolutamente confortevole e preannuncia che tutto il quartiere meridionale abbia un aspetto migliore. La seconda sorpresa, che in fondo ci si poteva aspettare, è la mancanza di porte d’ingresso per la casa di Parmenide.

caseNord Si intravedono piccole finestre nella parte alta delle costruzioni per far sembrare il tutto, anziché delle abitazioni,  fortificazioni arcaiche: come se ci si debba proteggere da qualcosa di terribile che si nasconde all’interno. In seguito vedremo che la mancanza di porte e aperture è una caratteristica di tutto il quartiere meridionale con la differenza che mentre al nord non vi sono accessi se non dalle finestre, qui le case,  costruite oltre i tre metri di livello sul mare, hanno quasi tutte accessi e collegamenti sotterranei. La rete di cunicoli e gallerie, inaccessibile ai visitatori, quindi totalmente sconosciuta, porta spesso a pensare che la vita degli abitanti si svolga per la maggior parte sotto terra e che la parte alta delle case sia ovviamente riservata ai filosofi. Non  è possibile verificare quanto vasto possa essere la lo spazio scavato sotto la città e siccome nell’antichità il promontorio  collinare era solo il quartiere nord e questa era una zona quasi pianeggiante le supposizioni si moltiplicano. Si pensa spesso di paragonare il quartiere meridionale a un termitaio, di cui vediamo solo un cumulo di terra nuda ma dentro cui vivono migliaia di esseri che forse non hanno mai visto la luce. Forse la montagna su cui sorge la “finta” città dei filosofi è stata ottenuta col terreno prodotto dagli scavi che danno spazio a una immensa città nascosta, che si allunga verso il centro del pianeta: una Derinkuyu dei giorni nostri sorta ancora una volta per proteggere il mondo da chissà quale pericolo cosmico o forse per l’umana nostalgia di tornare nel grembo della madre terra.

la casa di Parmenide è un particolare del dipinto La città dei filosofi

….Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare: l’una che è e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della Persuasione (infatti segue la Verità), l’altra che non è e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile: infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile), né potresti esprimerlo. … Infatti lo stesso è pensare ed essere….
Quale fosse il pensiero di Parmenide e di tutti i suoi discepoli oggi poco importa, nel corso di tutti questi secoli, filosofi e non, sono tornati ripetutamente sulla questione del “essere o non essere” senza risolverla e non sarà data a noi la possibilità di farlo.

la piazzetta de l'albero magico le città invisibili 31 Mar

In piedi sotto l’albero magico o seduti all’ombra della buona sorte.

La sommità del colle in cui sorge il centro citta ha due vette. Abbiamo lasciato l’antica fonte e i giardini dell’essere nella prima sommità  e dopo aver percorso un piccolo avvallamento risaliamo per raggiungere la minuscola piazzetta su cui sorge l’albero magico.  Lo scenario costringe l’occhio a fermarsi sulla piccola chioma rotonda invitandoci a guardarla più da vicino. Ci sediamo in cerchio circondando il tronco e fissiamo la luce che rimbalza tra le foglie bianche dell’albero. Quando gli alberi avevano la clorofilla che colorava le foglie di verde si poteva godere di una ombra fresca sotto al sole cocente. Le fronde bianco latte invece diffondono e amplificano la luce in modo tale da non produrre ombre al suolo nemmeno per gli oggetti che vi si trovano sotto. Siamo avvolti come da una nebbia accecante in uno stato meditativo ad occhi aperti pronti ad avere esperienza dell’energia vitale che da vita ai corpi. Quello che ci si aspettava dal precedente giardino lo troviamo qui seduti sotto l’albero magico: l’essenza dell’essere. Nell’intuire una coscienza immortale una gioia profonda ci pervade poi segue un malinconico timore dato dalla certezza che la perdita del corpo  sarà anche perdita della propria memoria. L’effetto della sperimentazione al posto del ragionamento filosofico ci carica di voglia di attingere da tutto ciò che già si possiede realizzando il significato delle antiche disquisizioni sul “carpe diem”. Ci incamminiamo verso la “periferia” della città girando attorno alle case che sorgono sulla sommità della seconda vetta. Il lato nascosto di questa parte del monte non scende in una vallata ma rimane in quota e si congiunge con un sentiero alle case arcaiche della periferia.
L’albero magico è un particolare della città dei filosofi

carlo ravaioli La Città dei Filosofi
05 Aug

 LA CITTA’ DEI FILOSOFI – la ricostruzione

La città dei filosofi nella sua veduta d’insieme. Partendo dai resti archeologici di Elea (greco) denominata in epoca romana VELIA, polis della magna grecia, ho voluto prefigurare una immaginaria ricostruzione della città nel futuro, precisamente nell’anno 2.750, dipingendo un a tela cm 180×90.

Il minuziosità di dettaglio nel descrivere i vari scorci della città mi ha in seguito suggerito la possibilità di sezionare il dipinto in 26 scorci.
Ognuna di queste vedute rappresenta una tappa di un immaginario viaggio turistico all’interno della città dei filosofi.
Il “visitatore” percorre in lungo e in largo il sito archeologico ricostruito, incontrando monumenti creati dalla mia pura immaginazione ma a volte ricavati da precise nozioni storiche.
Il sito archeologico si trova in un parco del Cilento e si affaccia sul mare in corrispondenza del fiume Alento. La città Chiamata in antichità Elea fu fondata nel 540 avanti cristo da un gruppo di esuli provenienti dalla Grecia tra cui i filosofi Parmenide e Zenone.
Il percorso didattico del reale sito archeologico della città dei filosofi inizia dalla città bassa dove gran parte degli edifici ellenistici risalgono all’età romana. La visita del luogo permette di incontrare molti dei resti citati nel dipinto. La Porta Rosa, Il pozzo Sacro, il quartiere meridionale, l’Acropoli e l’antico porto romano rivivono il loro originario splendore, grazie a una interpretazione fantastica.

La Città dei filosofi, il dipinto è stato realizzato nel 2014 a olio e acrilico su tela

la periferia fantasma della città invisibile 03 Jul

il ritorno alla terra da un tempo diverso, il mito della memoria cosmica e il sentimento oceanico

Non esiste confine tra le case arcaiche e quelle della “periferia fantasma”. Le prime, come il resto della città, hanno la parvenza di essere abitate mentre le ultime, oltre a diradarsi, hanno l’aspetto fatiscente quasi diroccato del paese disabitato da decenni. (altro…)

le case arcaiche e la felicità di uscire dalla crisi 30 Jun

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: Le case arcaiche

L’orizzonte illusorio e la falsità della ragione

Carichi di entusiasmo per aver trovato qualche risposta dalle esperienze meditative di alcune tappe della città dei filosofi iniziamo a seguire il sentiero che ci porterà fuori dal centro. Dalla sommità del monte le case arcaiche sembravano a pochi passi: ancora una volta i giochi prospettici degli architetti dei filosofi avevano creato l’inganno puntando sulla illusione ottica. Il messaggio era a quel punto molto chiaro: se qualcuno di voi si trova a un certo punto del viaggio di fronte una parvenza di verità, sappia che in realtà si trova solo all’inizio di un nuovo viaggio. Il cammino è molto lungo e, a differenza di ciò che sembrava, in salita.

Poco prima di arrivare alla sommità del percorso, si notano le riproduzioni dell’insediamento abitativo più antico della città (540-535 a.C.): si tratta di abitazioni ad un solo vano con cortile antistante: la muratura è a blocchi di arenaria di forma poligonale come dai una tecnica importata direttamente dall’Asia Minore da dove provenivano i coloni. Le case sono disposte a terrazza ed attraversate dal sentiero che qui si allarga in una strada di terra battuta che finisce dove finiscono gli edifici: in questo piccolo quartiere si accede solo dal sentiero che proviene dalla sommità del centro città. La puntigliosità di questa ricostruzione va a sottolineare che qui ci troviamo in un luogo che precede la data della fondazione dell’urbe. Pare che i filosofi abbiano collocato alla fine del viaggio ciò che sta all’origine della città quasi a suggerire che l’inizio e la fine possano coincidere. Quella che doveva essere una visita guidata in cui godere della vista e degli altri sensi, si è trasformato col tempo in un percorso intricato nel pensiero speculativo catturati qua e là dall’illusione di scoprire la verità sull’essere. In fondo al nucleo abitativo finisce la strada senza una netta interruzione quasi a sfumare col terreno, questo per indurci a proseguire verso le ultime costruzioni che vediamo spuntare poco lontano. 

il giradino dell'essere nella città invisibile 26 Apr

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: Il giardino dell’essere

 La contemplazione dell’esistenza

Verso il basso a sinistra, dove finisce il muro nero dell’antica fonte, una stradina stretta ci porta a un cortile in parte recintato con al centro una bassa costruzione la cui facciata mostra quattro ingressi. Quelle porte sembrano accedere alla stessa stanza, in realtà sono l’inizio di diversi e lunghi corridoi che portano nelle viscere del monte, in quel sottoterra buio che potrebbe ospitare i veri abitanti della città dei filosofi. Il giardino di radi cespugli poco più avanti intitolato “i giardini dell’essere” è il vero argomento della nostra tappa. Ricordiamo immediatamente l’esperienza della visita ai giardini del non essere in cui il buio, principale argomento, avrebbe dovuto significare l’assenza assoluta. Ci aspettiamo dunque di trovare qualcosa che abbia a che fare con la luce ma non è così: la disposizione degli elementi sul terreno sembra avere un ordine simbolico preciso e ben calcolato. Una fila di cespugli sembra indicare un percorso, un grande albero in mezzo al giardino a chioma rotonda si contrappone a due alberi a chioma appuntita, dodici pietre raggruppate sembrano i discepoli di una tredicesima pietra molto più grande, alcune costruzioni in miniatura coronano le quinte di un palcoscenico tutto da interpretare. Inevitabile citare il “cogito ergo sum” di Cartesio: ci domandiamo se anche per i filosofi moderni la certezza dell’esistenza, quindi dell'”essere”, dipenda dalla capacità di pensare.

L’aspetto concettuale di questa tappa ci rimanda alle installazioni che certi artisti utilizzavano per esprimere pensieri che potevano benissimo essere trasmessi verbalmente o attaraverso la scrittura. Il nostro spirito, a questo punto del viaggio, è più propenso alla contemplazione che al ragionamento per cui decidiamo di proseguire incuriositi dal titolo della prossima tappa.

Il giardino dell’essere è un particolare della città dei filosofi

 

antica fonte nella città dei filosofi 29 May

“La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: L’antica fonte

Veduta del fiume Alento e l’origine dello scorrimento

Camminando, con alle spalle le antiche mura, ci accorgiamo che la voglia di esplorare la città nascosta del nostro inconscio è rimasta viva anche se non è più compito del filosofo indagare gli aspetti occulti della coscienza. Ricomincia il cammino tra piazzette ed edifici verso la parte alta dell’abitato e verso l’entroterra. Raggiunta l’altezza del crinale un’altra sorpresa ci sconvolge: abbiamo l’impressione che la città finisca all’improvviso. Il quartiere meridionale con il suo centro città è costruito solo sul lato occidentale della collina. Il lato orientale non esiste, è un crinale spoglio e deserto che scende con un declivio fino alla gola scavata dal fiume Alento. Mi vengono in mente le città usate nei film western di cui esiste solo la facciata e il retro è tutta una impalcatura: la città dei filosofi è fatta per essere osservata solo dal mare a sottolineare la posizione di distacco che uno spettatore dovrebbe tenere anche nei confronti della propria vita. Spesso è necesssario salire in barca e galleggiare qualche minuto per guardare la propria esistenza dal di fuori. Dopo aver trascorso tanto tempo in mezzo a case e palazzi il vuoto improvviso che sorprende i nostri sensi ci costringe a una nuova sosta, è come se, girato l’angolo, ci trovassimo davanti al lato oscuro della luna.
Lo sguardo si perde nel paesaggio collinare dall’aspetto morbido e armonioso poi l’attenzione si concentra su un segno ben marcato: è la traccia scavata del fiume Alento che da questo punto si riesce a vedere quasi per tutta la sua estensione fino a perdesi dietro alle colline. Nasce la curiosità di vedere l’origine del fiume ma il fatto che il suo corso scompaia dalla nostra vista ai piedi di una montagna nera ci fa capire il senso di questa tappa. Ci troviamo ora in un cortile degli edifici della parte più alta dell’urbe in una piccola area dedicata alla “Antica Fonte”. Non vediamo nulla che possa richiamare alla mente una sorgente o un pozzo o una fontana, solo un minuscolo boschetto e un muro nero con una scritta bianca: “hyele”. Il nome di quella che doveva essere la prima fonte di acqua è lo stesso di quello della città dei filosofi e il messaggio che ne ricaviamo ci indica che la nostra attenzione deve ora andare alla sorgente, all’origine dello scorrimento. Ricorre l’immagine, molto usata, del fiume che nasce e scorre verso il mare per descrivere la vita umana ma sopratutto l’interesse è volto all’esplorazione del mondo sotterraneo che fa si che l’acqua arrivi in superficie per sgorgare e scorrere. Da sempre si sono cercati metodi per risalire il tempo percorrendo la memoria di eventuali vite precedenti e arrivare all’inizio di tutte le memorie. Ma i risultati, oltre a produrre “Stati di allucinazione” cioè di stadi alterati della coscienza, non sono mai stati soddisfacenti ne rassicuranti ne credibili. Ritorniamo a sederci al cospetto della valle a osservare il corso dell’Alento, da anni completamente asciutto, presi da una pacata malinconia e un profondo vuoto ci sentiamo invidiosi di come la “vita” di quell’insignificante corso d’acqua abbia potuto lasciare nei secoli un solco così profondo. Fissiamo le nere colline in cui si perde la vista del fiume poi chiudiamo dolcemente gli occhi e cerchiamo nella miriade di fosfeni una nuova fonte di ispirazione.

i cortili di melisso 27 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: I cortili di Melisso

L’eternità dell’essere nella città dei filosofi

Scesi da quello che qualcuno chiama Edificio Massimo seguiamo le indicazioni per uscire direttamente in una serie sequenziale di piccole piazzole intitolate “I cortili di Melisso”.

Melisso (che visse dopo la metà del V secolo a.C.) viene generalmente anch’esso collocato nell’ambito dei filosofi eleatici (insieme a Parmenide e a Zenone), sebbene fosse originario non già di Elea, bensì di Samo, nella Ionia minore. Nonostante i giudizi poco lusinghieri di Aristotele, Melisso risulta essere molto importante per la storia della filosofia, in particolare per il suo tentativo di coniugare l’eleatismo con la filosofia della natura.

L’assonanza del nome di una pianta dalle proprietà officinali ha fatto si che tutto in tutto il perimetro dei cortili venga coltivata proprio la Melissa (in greco antico significa ape). L’apparente banalità di accostare la figura di un filosofo  con una pianta che ha lo stesso nome,  sottolinea che la scelta dei riferimenti storici non è stata solo per i contenuti filosofici ma anche per effetti puramente estetici. Il visitatore della città dei filosofi ha due opportunità: osservare l’architettura urbana ignorando completamente la filosofia e cogliere semplicemente la bellezza degli scorci, oppure lasciarsi andare in un viaggio introspettivo ripescando le antiche domande irrisolte che i pensatori hanno da sempre posto.

Il pensiero di Melisso si colloca per molti tra coloro che affrontando la ricerca della verità senza metodo, tornano carichi di errori più di prima che iniziassero il viaggio. Questo anche perchè, a quei tempi, si cercava di spiegare ad esempio  l’eternità, che è una idea astratta, con interpretazioni prettamente fisiche e grandi assurdità di risultato. 

Seduti su una delle panche collocate ai bordi dei cortili apprezziamo come prima cosa il colore verde delle foglie di melissa e il profumo dei piccoli fiori bianchi. Poco importa sapere come mai, in questa ricostruzione molto reinterpretata di villaggio mediterraneo in questa sperduta parte dell’antica Italia , qualcuno sia riuscito a coltivare piante contenenti clorofilla.

L’atmosfera del luogo ha la capacità di catturare l’attenzione e rimandarla, come uno specchio, al punto di origine. Gli occhi, più degli altri sensi, concorrono a portare l’attenzione verso l’esterno e la coscienza spesso si perde in uno stato contemplativo del  “di fuori“. Poi stranamente, come per magia, tutti i componenti della comitiva si trovano a ragionare quindi ad essere attratti dallo stesso pensiero: l’eternità dell’essere.

Uno di fianco all’altro, immobili, con lo sguardo perso oltre le pareti che circondano i cortili, quasi imprigionati in una sorta di recinto ci perdiamo ancora una volta dietro all’idea di eternità. Qualcuno crede di intuire, qualcun’altro si ferma alla prima risposta, c’è chi si perde durante il viaggio, chi è sicuro di avere capito. Io invece per lo sgomento e il terrore che improvvisamente mi assalgono, tale da pensare a una crisi di panico, mi sento costretto ad alzarmi di scatto e volgere l’attenzione altrove. Capisco in un istante che i messaggi rassicuranti che arrivano continuamente, a volte inconsapevolmente, ai nostri sensi sono il vero grande prodotto della storia dell’umanità per tenerci lontano e al sicuro dalla terrificante consapevolezza che ci possa essere una eternità dell’esistenza. Poi ingenuamente mi chiedo fin dove riuscirebbe ad arrivare la memoria se vivessimo in eterno, già che ci siamo scordati quando siamo nati. Ci riprendiamo dalla pausa escatologica e continuiamo il nostro percorso consapevoli di dover il più possibile nutrire il nostro cervello con piacevoli stati contemplativi, lasciando ai filosofi il difficile compito di domare l’animale selvaggio che muove certi aspetti della ragione.

la porta arcaica della città dei filosofi 26 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: Porta arcaica

L’ìngresso nel cuore della città dei filosofi

A est della Torre di Senofane corre quella che potrebbe essere la cinta muraria del centro città, segnata a tratti da alte pareti liscie e insormontabili. Un grande palazzo formato da due alti blocchi uniti da un arco offre alla vista l’apertura della Porta Arcaica (costruita dai Focei verso la fine del VI secolo a.c.) che nella città d’origine segnava il confine tra il quartiere meridionale e settentrionale. La base della porta si trova a un paio di metri di altezza e anche se ci fosse una scala per arrivarci non si potrebbe varcare perchè quasi completamente ostruita. Tuttavia si possono ammirare le linee armoniose della costruzione e il chiaro messaggio di chiusura che indica la difficoltà di accesso al centro storico. Quasi a suggerire la preziosità del contenuto dell’ultima parte della visita, protetto dalle difficoltà di accesso e dalle fortificazioni. Per oltrepassarre le mura ci si serve della porta quadrata in basso a destra del palazzo e dopo aver vagato per stanze, androni e corridoi una porticina chiusa segna l’uscita per il centro della città dei filosofi.

Nonostante ci si trovi di nuovo in mezzo a case fitte e palazzi addossati l’aria è luminosa e profumata. Profuma di zagara, non per la presenza di agrumi fioriti, ma per l’essenza di cui questa prte della città è impregnata. Anche qui l’evento sensoriale precede quello concettuale, come entrare in un Ashram o in una antica chiesa in cui gli odori d’incenso preparano e aiutano ad affrontare una dimensione mentale differente. Il profumo di zagara è anche stato nella antichità, sopratutto nelle isole del mediterraneo, simbolo di vacanza, libertà, clima perfetto e di quella gioia che si prova per la consapevolezza di trovarsi in un preciso luogo.

edificio massimoProseguiamo lentamente ai piedi di strutture imponenti dai colori rosati e dalle linee pulite volte a valorizzare la loro verticalità. Lo sguardo è continuamente invitato a sollevarsi, a percorrere le cime dei palazzi che sembrano voler toccare un cielo meno cupo il cui grigiore sembra tendere alle dominanti blu delle ere passate. Seguiamo una ripida scala di fianco una a torre rosa attratti da ciò “che sta in alto” fino a raggiungere la terrazza che fa da tetto all’edificio più grande della città eretto al centro dell’intera pianta urbana. L’ altezza ci sorprende ed è simile a quella che si prova dalla Torre Quadrata che domina la vallata. Da qui si riesce a osservare la città a 360° più da vicino, con la sensazione di vedere anche gli angoli più nascosti: le prospettive ruotano magicamente su se stesse suggerendo nuove vie di percezione in grado di mostrarci tutte le quattro facciate degli edifici da un unico punto di osservazione. Riuscire a vedere il fronte e il retro di una casa senza girarci attorno era l’aspetto più straordinario che la città poteva riservarci, una magià che premiava la pazienza impiegata per arrivare fino a questo punto del viaggio. Una gioia pacata, contemplativa pervade il nostro spirito per la semplice consapevolezza di trovarci in quel luogo e ammirare quella bellezza.