la città dei filosofi la torre di senofane 21 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: La torre di Senofane

La presa di coscienza del mondo imperfetto

Lasciati alle spalle i Templi e i “Giardini del non essere” il percorso obbligato è tornare nella parte bassa dell’Agorà per arrivare alla Porta Arcaica e accedere al cuore della Città dei filosofi. 

Prima di oltrepassare la porta ci fermiamo ad osservare la Torre di Senofane. Da libri storici apprendiamo che Senofane è “il creatore della scuola eleatica, nato tra il 580 e il 565 a. C., viaggiò a lungo per la Grecia. Criticò l’antropomorfismo cioè la tendenza degli uomini di attribuire voci e sembianze umane agli dei. “Esiste un dio tutto”. Nega la pluralità ed per Senofane esiste un’unica divinità che lui chiama Dio tutto, cioè un dio che da origine a tutto l’universo”.
Sempre dai libri una citazione del suo pensiero:
Omero ed Esiodo hanno attribuito agli dei tutto quello che per gli uomini è oggetto di vergogna e di biasimo: rubare, fare adulterio e ingannarsi…i mortali credono che gli dei siano nati e che abbiano abito, linguaggio e aspetto come loro…gli Etiopi credono che (gli dei) siano camusi e neri, i Traci, che abbiano occhi azzurri e capelli rossi …ma se buoi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero disegnare…i cavalli disegnerebbero gli dei simili a cavalli e i buoi gli dei simili a buoi …”. In realtà, “uno, dio, tra gli dei e tra gli uomini il più grande, non simile agli uomini né per aspetto né per intelligenza…tutto intero vede, tutto intero pensa, tutto intero sente…senza fatica tutto scuote con la forza del pensiero…sempre nell’identico luogo permane senza muoversi, né gli si addice recarsi qui o là.”

i filosofi  odierni hanno per periodi ricorrenti ritrovato interesse verso le figure divine.  Questa torre vuole essere una allegoria dell’antico Olimpo nella cui sommità vivono gli dei per proteggersi dal mondo e nello stesso tempo osservarlo distaccati da esso. La prima domanda posta dai nuovi discepoli dei filosofi riguarda l’imperfezione della sfera umana:  come può un mondo originato da un essere perfetto essere imperfetto? O meglio: perché il creatore dovrebbe aver creato tutti gli animali del mondo in grado di non commettere errori tranne l’uomo? Non si è mai sento dire che il nido di una rondine sia crollato per un errore di costruzione. E ancora: perché mai un essere perfetto dovrebbe generare un figlio e mandarlo in mezzo a una umanità imperfetta e farlo morire affichè una colpa del primo uomo volutamenete creato imperfetto possa essare riscattata: è come se noi costruissimo un robot autonomo con la capacità di disobbedire e ci arrabbiassimo alla sua prima disobbedienza lasciandolo in balia di se stesso. Lui e le sue generazioni si muoverebbero nel mondo con le impostazioni che noi abbiamo scritto nei circuiti elettronici. Se poi ci viene in mente di crearne uno perfetto e mandarlo in mezzo a quella schiera di automi guerrafondai per migliorarli senza alla fine ottenere risultati, probabilmente la delusione sarebbe pari a quella di imperfetti esserei umani che siamo. Questo significa che fin dalla bibbia gli dei sono stati paragonati agli uomini proprio perché, come dice Senofane, nessuno ha gli strumenti per immaginare cose che non siano già  passate dalla sua memoria e se mai gli antichi hanno visto qualcosa scendere dal cielo, poteva solo essere un alieno.

i giardini del non essere le città invisibili dei filosofi 26 Apr

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: I giardini del non essere

Il lato oscuro del pensiero filosofico

Ripercorriamo con lo sguardo le facciate dei templi dirigendoci verso il lato in ombra del complesso monumentale. Le chiese un tempo riservavano, per il cimitero, il terreno a nord freddo e sempre nascosto dal sole per sottolineare l’assenza di luce della morte. Anche qui, nella città dei filosofi, abbiamo un campo dedicato al non-essere delimitato  a sud  da un grande tempio anonimo, a est da un tratto di mura della città e per il resto dai “dietro casa” di altre costruzioni. Il giardino sembra veramente voglia richiamare un antico camposanto: un cipresso solitario e triste, una casetta minuscola che richiama una cappella funeraria e arbusti sparsi come lastre epigrafiche.

In realtà va visto come luogo dell’assenza parziale. Il “non essere” assoluto non è sperimentabile ne pensabile o concepibile, fa parte delle intuizioni che si collegano ai paradossi, anche in questo caso serve trovare un punto di osservazione e un oggetto da osservare per poter poter elaborare un pensiero che possa anche lontanamente avvicinarsi all’idea del non essere. I filosofi eleatici hanno molto ragionato su questo concetto e la scelta di quelli moderni di dedicare loro una intera città significa che ancora oggi pare essere un argomento molto trattato. Mettiamo da parte le considerazioni storiche e ci incamminiamo verso il centro del campo dove sorge la piccola costruzione quadrata e per la prima volta ci accorgiamo di un fenomeno che al momento ci sconvolge. Le ombre non corrispondono alla posizione geografica di questa parte del mondo: quello che doveva essre il lato in ombra, perché a nord, è invece in piena luce. Questo significa che tutto l’abitato è illuminato da luce artificiale proveniente dai satelliti geostazionari che, anche in questa zona di mondo, forzano i raggi solari ad attraversare la cappa che ci sovrasta.

Entriamo nonostante sulla parete d’ingresso spicchi la scritta “la stanza dell’oblio” e richiudiamo la porta dietro di noi. Il buio è sconcertante. Le finestre che da fuori si vedevano aperte in realtà sono chiuse da un vetro nero che lascia solo intravedere la posizione sul muro disegnando un rettangolo impercettibile col magico potere di catturare l’attenzione. I nostri sguardi vengono attratti da quei buchi neri su nero e i pensieri stessi sembrano risucchiati senza possibilità di ritorno dal vortice sensoriale che si crea. Non c’ è paura in quella sensazione di svuotamento ma solo sbalordimento per la scoperta che il buio non è sempre uguale e il senso di “non esistere”, che il luogo vorrebbe farci sperimentare, ci imprime invece una gran voglia di rimpiazzare quello che viene tolto.

Usciamo senza aver percezione del tempo di permanenza dentro la “stanza dell’oblio” e la prima cosa che vediamo è l’alberello che come un dito puntato al cielo sembra volerci indicare la strada. Ci sentiamo leggeri come se avessimo perso una zavorra di cattivi pensieri, pronti e curiosi di proseguire la visita.

 

le citta invisibili dei filosofi molo del porto 12 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: Il molo del porto romano

Il palazzo dei viaggiatori e il pontile sulla darsena

 Proseguendo oltre il pozzo sacro si arriva immediatamente a quello che può sembrare il porto: una terrazza che si allunga sospesa sull’acqua come un pontile con un basso muro di cinta. Il riferimento al porto romano è solo per la sua posizione che rispecchia quella dei secoli avanti Cristo. In realtà il molo e il palazzo, da cui esso parte, sono un vero e proprio punto di attracco per i visitatori provenienti dal mare. Per molti la visita alla città dei filosofi inizia proprio da questo punto e molti percorrono a ritroso in nostro itinerario per tenere il cuore della città come ultima tappa. Naturalmente si tratta di un porto che ormeggia piccole imbarcazioni di pubblico trasporto passeggeri. I turisti scendono a terra tra il palazzo dei viaggiatori e una costruzione molto alta e hanno l’impressione di varcare la porta d’ingresso della città.  Il terreno retrostante il palazzo del porto si trova allo stesso livello del mare e nonostante le fortificazioni lo si può vedere spesso  allagato; il fondo è costituito di sabbia particolare, molto compatta che non si attacca alle scarpe e non infanga i piedi permettendo di camminare, senza affondare, su un velo d’acqua di pochi millimetri. Da certe angolazioni sembra che la gente cammini su un’acqua limpida e pulita che nulla ha a che fare con quella scura del mare adiacente. Con qualche acrobazia scavalchiamo qualche rudere per entrare dal muro di attracco delle barche e vivere l’emozione di chi arriva e inizia il viaggio in quel momento. Una sensazione di grande apertura, letteralmente all’opposto di quella ricevuta al nostro arrivo dall’opprimente groviglio di costruzioni dell’acropoli. Uno splendido scorcio accarezza il nostro sguardo rinnovando la curiosità della visita se non altro per la delizia architettonica di questo angolo colorato e luminoso. Una calda accoglienza regalata unicamente dal luogo che stimola tutti i sensi compreso il profumo e il sapore delle bacche degli inesauribili cespugli “bionici” che crescono sul molo del vecchio porto romano.

pozzo Sacro nella città invisibile dei filosofi 10 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: Il pozzo sacro

Bothros per la raccolta delle offerte votive, dedicato a Eros

 

Di fianco alla piazzetta più alta dell’agorà, immerso nell’acqua, si eleva Il Pozzo Sacro. Un tempo il “Bothros”  aveva la funzione propiziatoria di raccogliere le offerte votive non si sa se per il dio Heros o Hermes. Oggi si è voluta mantenere la sua funzione ed è diventato una sorta di pozzo dei desideri, come le fontane delle città arcaiche in cui si gettavano monete e si esprimevano pensierini. Il groviglio di piante che esce dal recinto circolare indica la meccanica diversa della sua funzione propiziatoria. I visitatori gettano un seme all’interno del pozzo di una pianta che se nascerà solo se il desiderio potrà essere soddisfatto. Naturalmente è impossibile verificare se il seme germoglierà o marcirà ciò che conta è l’originalità dell’atto votivo. Alcuni compagni di viaggio estraggono dalla tasca alcuni semini e li lanciano soddisfatti all’interno del pozzo e improvvisamente  un cinguettare frenetico di passeri all’interno del boschetto fa pensare alla fine che potrebbero aver fatto le loro ambizioni. Mi piace l’dea di considerare i sogni come se fossero pianticelle da curare giorno dopo giorno coltivandole amorevolmente con la certezza che in futuro ci regaleranno un buon frutto.

 

agora il luogo di pubblico ritrovo dei filosofi 09 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: Agorà

Il luogo di pubblico ritrovo dei filosofi

La parentesi dedicata all’illusione ottica, oltre a permetterci una sosta di riposo nel viaggio alla scoperta della città, ci ha portato a riflettere sulla prima metà della nostra visita che prevede circa altre tredici tappe. Alcuni di noi si sono annoiati, altri avevano aspettative diverse e tutti pensavamo di incontrare i filosofi moderni al “lavoro” senza la pretesa che ci trasmettessero le loro scoperte, semplicemente perché pensavamo che esistessero sfacessero parte integrante dell’ambiente. La piazza centrale a ridosso della zona portuale avrebbe dovuto essere il luogo più animato dell’urbe, in realtà le uniche persone che incontriamo sono visitatori che si ritrovano con le nostre stesse perplessità. Una buona occasione per scambiare opinioni, domande e risposte con la conclusione che la città è completamente disabitata ma tenuta viva come se non lo fosse. Qualcuno ci vede un trasloco recente, un esodo improvviso, una fuga da un pericolo incombente, in realtà  qualcun altro, suggerendo  di dimenticare gli abitanti pensatori, ci fa capire che da ora in avanti ci dovremo confrontare e interagire con gli aspetti simbolici delle architetture. Come se le case e le piazze trasmettessero al turista messaggi nascosti da interpretare rendendo l’aspetto del risultato finale diverso per ogni visitatore. Già il fatto che la piazza del centro città non sia un unico spazio ben delimitato bensì spezzettato in una serie di cortili, piazzette e terrazze incastonati gli uni nelle altre ci suggerisce un nuovo modo di guardare le cose spingendoci a separare quello che si guarda da quello che si suppone di vedere. Dopo aver risalito la scala su cui eravamo seduti si attraversano alcuni passaggi angusti fino all’entrata di una piazza poligonale a livello del mare, la più ampia dell’Agorà. La disposizione dei volumi circostanti deformano la prospettiva in modo tale da sembrare un piano obliquo . Su questo spazio si affacciano la Torre di Senofane e la Porta Antica che visiteremo nelle prossime tappe. Proseguendo, piani su vari livelli terrapieni arrotondati, costruzioni senza tetto, mura di cinta e muri senza nessuna funzione sono gli elementi di questo luogo che più che una piazza assomiglia a un palcoscenico teatrale a cielo aperto senza platea. Ciò per invogliare il pubblico a sentirsi attore/spettatore e a creare lui stesso la parte da recitare.  

 

il porto romano sommerso 07 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: Il porto sommerso e l’ipercubo

Continua il viaggio nella città dei filosofi, il tesseract quadrimensionale

Iniziamo ad avere la sensazione che da come è costruita la città il viaggio voglia suggerirci qualcosa che non riguarda lo scoprire archittetture sconosciute o incontrare persone in grado di trasmettere la loro cultura. Lo capiamo dal fatto che non abbiamo più voglia di alzarci dalla nostra comoda postazione. Ci siamo spostati leggermente a sud e, seduti sui gradini di una scala che scende in acqua, osserviamo la casa quadrata immersa nell’acqua unica rimasta del porto romano che si trova sotto il livello del mare. Ancora una volta ci viene mostrato un particolare visibile in superficie per portarci a immaginare il mondo nascosto sottoterra, in questo caso subacqueo. Così approfittiamo di questo momento rilassante per assecondare la nostra fantasia come da suggerimento, anche perchè non potendo accedere alla casa ed entrarci possiamo solo immaginare. L’dea più azzardata è stata quella di trovarci di fronte a un ipercubo nel cui interno virtuale si sviluppa un mondo, in questo caso potrebbe proprio essere l’antico porto romano. Ma se un “tesseract” è in grado di contenere di tutto perché non ha limiti spaziali non vediamo il motivo per cui dovremmo riempirlo con i resti storici di questa noiosa città. Così ognuno, dentro ai lati di quei sei quadrati, ha iniziato un piccolo viaggio di congetture riguardanti il proprio vissuto e le proprie aspettative. Ne è uscito una piacevole parentesi evocativa, un insieme di piccole storie, anneddoti, battute che ha reso la pausa relax un vero e proprio momento ludico distogliendoci dal peso opprimente delle domande esistenziali.

 

i laboratori di Leucippo - le citta invisibili dei filosofi 06 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: I laboratori di Leucippo

“ciò che è tutto quanto pieno”

Dove finiscono le costruzioni della scuola eleatica iniziano quelle dei laboratori di Leucippo in un continuo tale da non distinguere le due parti se non come ali di una grande complesso. Mentre la zona della scuola ha una funzione puramente turistica, quella dei laboratori dovrebbe essere vero luogo di studio e discussione. Non ha nessun riferimento storico, forse ai costruttori piaceva collocare al centro di tutto il complesso cittadino una specie di biblioteca che facesse anche da punto di partenza per una visita museale per chi proviene dal mare. Una reception in cui si possono trovare tutti i documenti relativi alla città e al pensiero filosofico arcaico per avere subito un contatto con lo spirito disquisitivo degli abitanti. Si suppone che il riferimento a Leucippo sia per il fatto che non seguì la stessa via di Parmenide e Senofane nella spiegazione delle cose per cui era ritenuto estraneo anche alla città nonostante vi abbia vissuto. Entriamo nel grande palazzo che sovrasta il complesso dei laboratori e qui incontriamo finalmente i filosofi. Un gruppo di persone, vestite come potevano essere i greci di quel tempo, ragionavano ad alta voce e si confrontavano su argomenti come gli atomi il pieno il vuoto e l’esistenza dell’essere. Tutti argomenti del pensiero di Leucippo e degli altri filosofi di quel tempo: ci accorgiamo immediatamente che ancora una volta ci troviamo di fronte ad attori il cui compito è quello di rendere più colorito e realistico il percorso turistico. Un vero paradosso: un viaggio nel futuro che ci fa vivere un viaggio nel passato, un’altra delusione. Usciti dal palazzo ci intrufoliamo nelle piccole costruzioni che si protendono sull’acqua sbirciando il contenuto di alcuni dei libri che riempiono tutti gli spazi e alla fine preferiamo uscire e sederci con le gambe a penzoloni sull’acqua a guardare i riflessi delle case su quella superficie liscia e immobile come una lastra di vetro. Se non fosse per un nostro compagno di viaggio che si è bagnato i piedi avremmo potuto pensare che anche quel mare grigio fosse finto, una ennesima illusione, una proiezione del pensiero costringendoci a ragionare su “cio-che-è-tutto-quanto-pieno” senza spazi vuoti tra gli atomi.

 

scuola eleatica velia 05 May

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: La Scuola Eleatica

L’essere è e non può essere il non essere.
Il non essere non è e non può essere.

Il nostro cammino prosegue lungo il litorale fino al porto per poi salire a zig zag tra le viuzze e i cortili della città alta. Le case che si affacciano sull’acqua sembrano immerse come se subissero una alluvione o come se il livello del mare si fosse alzato improvvisamente a dismisura. Di fianco alla casa di Parmenide un minuscolo istmo ci permette di proseguire ed entrare nel complesso urbano  dedicato alla scuola eleatica pensata e creata nell’antichità dal filosofo Senofane e fondata poi da Parmenide. Edifici complessi incastrati l’un l’altro a creare effetti prospettici paradossali, illusioni ottiche di costrutti impossibili per ribadire il concetto fondamentale del pensiero eleatico riguardo all’apparenza e all’essere.
In particolare ci sono due edifici che se guardati da un lato sono separati da una costruzione quadrangolare che sorge su un giardinetto, se guardati dall’altro lato sono perfettamente uniti creando un grande effetto di spiazzamento e di nonsense spaziale. Finalmente, dalla casa che sembra immersa nell’acqua, esce all’improvviso un abitante della città. Si presenta come il custode della scuola filosofica ed è felice di raccontarci e descrivere quello che era il pensiero eleatico del 500 avanti Cristo, di come gli scavi dell’antica città siano stati “smontati” per essere collocati altrove e dare l’dea che tutto sia stato costruito di recente. Alle nostre domande non risponde, prosegue nel suo racconto come un automa, una semplice registrazione vocale che si avvia ogni qualvolta che un visitatore si sofferma nel cortile della scuola con aria stupita e interrogativa riguardo alla realtà o finzione di quello che sta guardando. Un gioco di domande senza risposte tipico del costrutto mentale del filosofo. 

 

portaRosa 27 Apr

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: la porta rosa

Il passaggio tra i due quartieri

La casa di Zenone ci ha lasciati un po’ perplessi, avevamo sperato, almeno in quel luogo, di incontrare qualche abitante, anche se non proprio filosofo, con cui scambiare informazioni se non impressioni sul viaggio svolto fino a questo momento. Le case, la maggior parte aperte, fanno intravedere quello che c’è all’interno e se fuori non ci sono tracce di vita i mobili gli oggetti d’arredamento lasciano intuire che qualcuno abita quell’interno. L’impressione è quella di trovarsi davanti alla casa di chi è fuori per il fine settimana ma che l’ha dimenticata completamente aperta. Per quel che riguarda le abitazioni senza porte invece l’immaginazione deve fare sforzi maggiori: per esempio che sono abitate da un genere di filosofo ancor più assolutista degli integralisti tali che si sono murati dentro ai loro pensatoi per non avere più nessuna altra possibilità diversa da quella di pensare: qualcuno li ha chiamati “filosofi di clausura”. A sud della casa di Zenone spicca, nella stessa posizione avanzata sul mare, la casa di Parmenide ma per raggiungerla è necessario risalire la città e raggiungere Porta Rosa che consente il passaggio dal quartiere settentrionale a quello meridionale scavalcando la gola scavata dal fiume Alento.

Un arco enorme in marmo rosa si staglia imponente a collegare le due pareti della gola e forma un ponte per il passaggio da una riva all’altra. In realtà il nome Porta Rosa venne dato nell’antichità dallo scopritore Mario Napoli non per il colore della costruzione ma perché era il nome della moglie. “L’arco a tutto sesto è sostenuto da due piedritti in opera isodoma” – così troviamo scritto sulla guida da una citazione del XXI secolo che continua – “databile alla metà del IV sec. a.C. (segno che i Greci conoscevano già a quell’epoca l’uso dell’arco che non fu, quindi, un’invenzione etrusca) la perfezione di Porta Rosa e l’armonia delle sue dimensioni non è causale: basti pensare che la luce dell’arco inscrive esattamente due circonferenze l’una sull’altra aventi per diametro la larghezza dell’arco (m. 2,68). Nel corso del III sec. a.C., la porta rimase sepolta da una frana e restò ostruita per sempre”. Qui la vediamo ricostruita in modo poco ortodosso e supponiamo che l’unico vero riferimento storico sia quello del nome.

casaZenone 24 Apr

carlo ravaioli “La Città dei Filosofi” olio su tela cm. 90×180 – particolare: la casa di Zenone

Quello del paradosso di Achille e la tartaruga

La nostra passeggiata prosegue in basso direttamente verso il mare ormai molto vicino.  Scavalcando i resti diroccati dei muri delle terme ci si trova dietro a un grande complesso architettonico formato da tre costruzioni alte incastrate tra loro a piombo sull’acqua nella parte sinistra come sarebbero potuti essere i palazzi di Venezia. Giriamo dal lato nord fino alla terrazza che ci mostra le facciate della costruzioni, il giardinetto incolto, alcuni terrapieni e la discesa al mare: siamo arrivati alla casa di Zenone. Questa come le altre abitazioni dedicate ai filosofi della fondazione del 540 avanti Cristo è completamente vuota. Spesso però i gruppi di studiosi che per diletto si dedicano a ricordare le dottrine presocratiche si riuniscono in questo giardino proprio a ricordare e disquisire sui  paradossi che Zenone aveva pensato. Argomenti come l’essere, il non essere e l’infinito dopo tremila anni di pensiero logico facevano ancora discutere. Ci piacerebbe poter assistere a una di queste riunioni, osservare quei cervelloni  mentre entrano ed escono dalle porticine senza battenti o camminano scalzi nel cortiletto scommettere su quante volte immergeranno i piedi nell’acqua marrone o ascoltare i loro discorsi incomprensibili. Noi ci limitiamo a visitare il luoghi incuriositi talvolta dalle abitudini e stile di vita degli abitanti e poco ci importa se Achille scommette di vincere una corsa con una tartaruga senza riuscire a capire se arriva prima la tartaruga o se al massimo arrivano pari. Forse proprio l’esempio figurato di questo paradosso mostra l’inutilità della filosofia e di conseguenza di questa città: a volte, come in questo caso, in un fenomeno scontato come quello di due che gareggiano in una corsa si vuole per forza escludere la possibilità che i due taglino il traguardo alla pari, semplicemente perché l’uomo non ha gli strumenti per misurare distanze infinitamente piccole. E se anche avesse gli strumenti per farlo non avrebbe il tempo di aspettare che un limite tendente a zero arrivi allo zero. Resta il fatto che fino a questo momento non abbiamo ancora incontrato nessuno.

Uno stralcio preso dalla rete riguardante la vera intenzione del filosofo Zenone quando ha “inventato” i suoi paradossi: Un punto fondamentale di questa discussione consiste nel capire che cosa volesse dimostrare Zenone. Il suo obbiettivo era di difendere le idee del filosofo Parmenide suo contemporaneo.
Parmenide considerava ingannevoli i sensi e riteneva che la realtà fosse un unico, immutabile tutto. Secondo Parmenide molte cose che diamo per scontate, come la pluralità ed il movimento, non sono altro che illusione. Con il paradosso di Achille e la tartaruga, Zenone voleva dimostrare che il movimento è pura illusione. In altri termini, ci sembra che Achille raggiunga la tartaruga, ma entrambi non sono altro che parti di un unico essere immutabile, ed il loro movimento è illusorio.